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ottobre 2012
nell’infrastruttura dovuto ai Big Data è stato già
implementato una decina di anni fa da realtà come
Google che ha fatto scuola per tutte le iniziative
nate con i Big Data arrivate dopo come Facebook,
Linkedin e altri. Chi oggi arriva ai Big Data, anche
non passando obbligatoriamente per il social, deve
guardare a queste esperienze. Attualmente l’offerta
di sistemi e di tecnologie data center per suppor-
tare i Big Data è quanto mai ricca.
Lo scenario cambia per altre due motivazioni. In-
nanzitutto le soluzioni che oggi supportano l’elabo-
razione dei Big Data sono tipicamente dei software
open source e un’azienda che vuole affrontare la
problematica, se non l’ha fatto fino a oggi, deve
comprendere come funziona il modello di utilizzo
delle distribuzioni open source e quindi il modello
di business che supporta questo mercato. Bisogna
metabolizzare un cambiamento culturale.
Il cambiamento principale sta però nel modo in cui
si analizzano i dati, poichè cambia il ‘time to mar-
ket’ con cui bisogna portare i risultati delle anali-
si al cliente interno dell’IT, ovvero il dipartimento
marketing, quello delle frodi, del customer service...
Cosa cambia nell’analisi dati?
Cambia il paradigma con cui i dati vengono acquisiti.
Non c’è più il passaggio che richiede di strutturare
il dato secondo esigenze di analisi predetermina-
te; non c’è più la fase di normalizzazione dei dati,
e questi non vengono più mandati a un data wa-
rehouse, ovvero un database relazionale, per poi
fare l’analisi. Questi passaggi che nella business
intelligence tradizionale sono molto laboriosi, con i
Big Data devono essere ridotti in modo sostanziale.
È un cambiamento forte, è una rivoluzione coper-
nicana, non si spende più tempo e non si spendo-
no più risorse nell’analisi di dove si vanno a pren-
dere i dati e di come si strutturano, ma si vanno
a prendere dati da più fonti, anche esterne e non
controllate dall’azienda, ed è quindi necessario in-
vestire in strumenti molto potenti che consentono
affinamenti successivi.
Questo è un cambiamento che riguarda anche gli
skill all’interno delle aziende utenti e dei fornitori,
ed è questo il punto forse più critico oggi di tutta
la tematica Big Data.
In che senso?
Attualmente non tutte le aziende e non tutti i forni-
tori sono attrezzati con analisti preparati con que-
sti nuovi skill, quelli che oggi sono identificati con
i termini ‘data scientist’, necessari per compiere la
prima operazione di discovery e di interpretazione
dei Big Data. Proprio la fase di discovery sarà quel-
la che assumerà sempre più importanza nel nuovo
contesto di analisi, che attraverso interazioni suc-
cessive di pochi minuti, anziché di ore o di giorni,
sarà in grado di identificare i fenomeni ‘nascosti’.
Questo tipo di approccio ai Big Data è il più inte-
ressante, ma anche il più difficile da realizzare.
Big Data e cloud compunting, questi due temi po-
tranno coesistere?
Certamente sì, i due temi vanno molto bene insie-
me. Questo perché il cloud libera dalla fatica della
gestione fisica delle risorse nel data center e quindi
libera ‘dell’intelligenza’ che può essere utilizzata per
potenziare le capacità di analisi. Il punto d’atten-
zione a oggi non ancora del tutto risolto è quello
della sicurezza logica, e quindi della normativa che
non permette in alcuni Stati di poter esportare in
un ambiente cloud una quantità di dati relativi a
persone fisiche.
Ci sono alcuni esempi poi di Big Data in cloud che
stanno facendo scuola, come Amazon, mentre molto
interessante è anche la mossa che ha fatto Microsoft:
che sul cloud Azure ha dato la disponibilità di una
distribuzione di servizi Big Data, tutti integrabili na-
turalmente con i suoi prodotti (DotNet, Excel, etc).
Che potenzialità ha secondo lei il mercato italiano
dei Big Data e che cosa bisogna fare perché que-
ste si esprimano al meglio?
Le potenzialità sono buone, anche se in Italia le
aziende veramente globali sono purtroppo molto
poche... Quello che un po’ manca alle aziende ita-
liane è la consapevolezza che i Big Data possono
essere utilizzati, non solo per individuare dei macro
fenomeni, ma anche per scoprire quelle nicchie di
mercato che possono ancora crescere. In un mer-
cato saturo come quello europeo questa dovrebbe
essere da tempo una strategia adottata dalle no-
stre aziende, mentre invece solo ora qualcuno sta
dedicando alle nicchie la giusta attenzione.
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