Office-Automation-maggio-2014 - page 57

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maggio 2014
Annese
, HR director commercial operation di Inde-
sit, che ha calato il ragionamento nel contesto. “Per
dare seguito al cambiamento evitando di restarne
esclusi c’è sempre più bisogno di competenze allar-
gate. E se è vero che vent’anni fa bastava caratte-
rizzare un leader, oggi abbiamo bisogno di middle
manager che siano qualcosa più di specialisti. Un
di più che può arrivare dall’alto facendo evolvere
le professionalità in azienda o può arrivare dal bas-
so introducendo i cosiddetti talenti, che devono
essere di fatto dei contaminatori”. Ecco quindi da
Annese un’interessante definizione di talenti tutta
basata sulla diversità: “Persone che, con un mind-
set diverso, cultura ed esperienze diverse basate
anche sull’appartenenza a una generazione diversa,
entrano in azienda e danno punti di vista diversi”.
Da
Tiziano Salmi
, senior vice president responsa-
bile IT di Eni, la conferma che la diversità ha a che
fare con il talento. “Importanti ma scontate le com-
petenze tecniche, talento è chi in un’azienda come
Eni ha la capacità di smontare le consuetudini. Che
prova a progettare le cose in modo diverso, com-
presi i budget. E il talento che serve è quello che
sopravvive alle mode, non quello specialistico che
invece dalle mode dipende”.
Per
Elisabetta Maùti
, responsabile sviluppo HR cor-
porate di Recordati, la visione d’insieme più che
averla serve saperla trasferire. E il talento non coin-
cide con i superuomini. “Il di›erenziale sta nel saper
trasferire agli altri il proprio modo di vedere le cose,
anche con i comportamenti. Detto questo, perso-
nalmente non ho una grande passione per l’idea
comune di talento e se proprio dobbiamo ragionare
su questo, credo si debba recuperare la sfera per-
sonale e la capacità di stare al ritmo dell’azienda.
Personalmente farei a meno di tutto il talento pur
di avere persone credibili”.
La domanda di fondo è: dove si rompe l’equazio-
ne tra la persona e l’azienda? Secondo
Francesco
Lamanda
, senior advisor Human Capital di Deloit-
te, un’azienda assume sempre per ruoli critici e
un ruolo critico è quello dove c’è bisogno di know
how importante ma anche di una visione impor-
tante. L’azienda spera sempre il meglio, e cioè di
inserire una persona capace di interpretare i va-
lori che trova, di obbedire alle regole, di adattarsi
e produrre valore. Il che ovviamente non succede
sempre. “Quello che succede è invece che il know
how si logora in tre anni, a volte in uno soltanto.
L’autorevolezza da possesso di competenza critica
si brucia rapidamente e i talenti rimangono tali solo
se hanno quella che si chiama learning agility, cioè
la capacità di catturare i nuovi sentieri del sapere”.
Talenti che fatica
Spesso, è emerso dal dibattito del convegno, i ta-
lenti non sopravvivono a sé stessi. Succede perché
l’azienda a queste persone dedica un investimento
retributivo e formativo importante, in cambio chie-
de loro di andare al di là delle regole e produrre
risultati agendo da elemento di provocazione e di-
scontinuità che crea, altro ossimoro, la continuità
del business. Il tiro alla fune può mettere in di coltà
l’azienda, e stritolare i talenti. Perché questo parti-
colare tipo di pionieri ha un caratteristico elemento
di disfunzione: essi di fatto ‘antivedono’ l’obiettivo
e, sapendo che l’azienda produce regole in ritardo
rispetto ai bisogni, si muovono in anticipo rispetto
al contesto. Così facendo creano un break e una
di coltà per la leadership. A questo punto sorge il
problema di chi tutela i talenti, del quanto a lungo
la leadership si faccia carico di difenderli ed entra
in gioco il discorso del ROI: l’azienda investe fino
a quando ha convenienza a farlo. È un discorso ci-
nico, è stato detto, ma anche i talenti sono cinici. Il
talento è un infedele per definizione e fa in fretta
a trovarsi un altro posto.
Questo innesca un altro tema fondamentale, a sua
volta approfondito nel corso dell’evento, quello del-
la gestione e del come si trattengono i talenti. Per
Maurizio Tondi
, market development & o›ering mar-
ket EMEA di Italtel, il talento può certamente fare
la di›erenza in azienda ma gestirlo è di cile. “È
oggettivamente complicato mantenere o sviluppare
i talenti quando le aziende dichiarano gli esuberi. E
se non vi sono dubbi sulla rilevanza del talento, è
altrettanto vero che si incontrano molte di coltà
nel gestirne il lifecycle in un’organizzazione che si
trasforma velocemente”.
Gli altri protagonisti
Al convegno ‘II talento per andare oltre’ sono inter-
venuti anche: Gianfranco Poledda, direttore risorse
umane di Sorgenia; Giorgio Basile, presidente e am-
ministratore delegato di Isagro; Sergio Cantinazzi,
partner di Inlay; Guido Arnone, technologies & ope-
ration director di Expo 2015; Sergio Novelli, digital
strategy senior advisor di BIP; Massimiliano Cremoni-
ni, digital director di M&C Saatchi; Massimo Messina,
head of global ICT di Unicredit; Federico Rampolla,
responsabile digital innovation di Mondadori; Stefa-
nia Fabbri, partner di Inlay.
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