Executive luglio - agosto 2011 - page 69

valenti a tempo pieno il cui unico compito sia la “cura/revisione
editoriale” metterà a dura prova i budget già limitati delle case
editrici, soprattutto perché i curatori/revisori dovrebbero posse-
dere una solida competenza settoriale (ogni testata ne dovrà
avere uno per lo sport, uno per la cronaca locale, e così via).
Sono possibili due soluzioni, nessuna delle quali è attualmente ben
formulata. È evidente che l’attività di filtrazione dei contenuti oc-
cupa un posto importante nel ruolo di un buon curatore/revisore
creativo. A questo riguardo, un buon punto di partenza sarebbe
quello di assegnare agli autori di contenuti le opportune credenziali
in un processo il più fluido possibile. Una parte del processo di at-
tribuzione delle credenziali potrebbe essere affidata a un redattore,
a un fotografo o a un videomaker, ma si potrebbe anche tener
conto delle valutazioni assegnate ai contributi del candidato nei siti
sociali, sul modello di Facebook Grader e TweetValue.
Un’altra possibilità sarebbe quella di assegnare i compiti di
cura/revisione editoriale a collaboratori offshore. Alcuni fornitori di
servizi editoriali, come Aptara e Innodata Isogen, offrono ad
esempio servizi di creazione di contenuti originali per case editrici
di libri e periodici. Queste attività vengono svolte in paesi come
le Filippine e Israele con il ricorso a esperti ben preparati che ri-
cevono retribuzioni inferiori a quelle delle loro controparti negli
Stati Uniti o in Europa occidentale. Sarebbe relativamente sem-
plice per i fornitori di servizi editoriali istituire team di analisi Swot
(analisi dei punti di forza, dei punti deboli, delle opportunità e dei
rischi) formati da curatori/revisori in outsourcing che analizzino i
contenuti in tempo reale. Ciò detto, il ricorso a curatori/revisori in
outsourcing potrebbe produrre buoni risultati per argomenti di
portata generale, ma non offrirebbe risultati soddisfacenti per il
materiale che richiede una conoscenza approfondita della realtà
locale o una profonda competenza specialistica.
Narrazione multimediale
La narrazione multimediale è un elemento essenziale dei quotidiani
e delle riviste nell’era digitale. Nel 2009, il St. Louis Post-Dispatch
ha vinto il primo premio nel concorso Best of Photojournalism della
National Press Photographers Association con “Reporting for
Duty”, un reportage sull’addestramento di due reclute che getta
uno sguardo più generale ad alcune delle esperienze che acco-
munano tutte le reclute in questo percorso. All’epoca, questo era
stato il commento della giuria del concorso: “Auspichiamo che in
futuro i project leader riuniscano insieme tutti gli specialisti del mul-
timediale, fotografi, videomaker, designer, programmatori di data-
base, perché tutti gli elementi della narrazione siano legati da un filo
narrativo continuo. Un prodotto multimediale di buona qualità ri-
chiede l’interazione e l’integrazione di tutti gli elementi”.
L’esempio del St. Louis Post-Dispatch è una dimostrazione di
ciò che potrebbe essere definito come “Narrazione Multimediale
1.0”. Il reportage premiato è stato realizzato con il contributo di
otto persone: video editor, fotoreporter, reporter, project editor,
due fotografi e due programmatori. Un insegnamento della Nar-
razione Multimediale 1.0 è che la creazione di contenuti di alta
qualità può essere costosa e non è scalabile: la creazione di re-
portage come “Reporting for Duty” richiede molto tempo per le
attività di pianificazione ed esecuzione.
Dal punto di vista degli editori, la Narrazione Multimediale 2.0
dovrà mostrare un maggiore orientamento aziendale e utilizzare
un flusso di lavoro riformulato che permetta la creazione di un
maggior numero di servizi. I quotidiani come il St. Louis Post-Di-
spatch si avvalgono soprattutto del proprio personale per la crea-
zione di servizi e reportage. Nella Narrazione Multimediale 2.0, i
curatori/revisori avranno il compito di creare una rete più ampia di
fonti di contenuti che permetta di creare servizi con un approccio
più “standardizzato”, e che consenta anche il coinvolgimento dei
media sociali e la distribuzione a una molteplicità di dispositivi.
Per raggiungere questo obiettivo, le case editrici tradizionali do-
vranno superare la sindrome del “non inventato qui” che è ancora
dominante nella maggior parte delle società editoriali.
Oltre alla narrazione multimediale tradizionale, si sta affacciando
una nuova forma sperimentale di utilizzo dei media. In un recente
rapporto intitolato “Transmedia Rising”, JWT ha notato il cam-
biamento di questa forma di narrazione partendo dalla seguente
definizione: “I contenuti stanno diventando transmediali: le sto-
rie perdono i confini tradizionali e si espandono sulle diverse piat-
taforme in modi innovativi, offrendo agli utenti più punti di
ingresso che stimolano un coinvolgimento profondo, che spesso
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