Office Automation settembre 2013 - page 17

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settembre 2013
sità Cattolica di Milano, si è quindi chiesto chi è
veramente la persona talentuosa: “Ha molta com-
petenza tecnica? Sa interagire con le altre persone?
Va tenuto conto che ci sono ‘geni’ che spesso sono
anche individui intrattabili ed è vero che esiste una
certa paura dei talenti brillanti perché poi tendono
a essere presuntuosi. La gestione del molto bravo,
di fatto, risulta essere un problema con il ‘troppo’
talentuoso che finisce per creare una reazione negli
altri colleghi, che poi finiscono per fargli resisten-
za”. Il talentuoso, secondo Pontarollo, deve quindi
capire lo stato d’animo di chi interagisce con lui e
soffre di non essere alla sua altezza.
Niente superuomini
L’evento ha quindi dato spazio a una serie di singo-
li interventi per offrire il punto di vista dell’ufficio
personale, dell’imprenditore e dell’head hunter. Il
primo dei quali è stato affidato a
Elisabetta Maúti
,
responsabile sviluppo HR corporate di Recordati:
“Il talento è considerato qualcosa di intoccabile, di
infallibile. E questo è un’assurdità perché così non
può funzionare, scambiando quello che la persona
è con la sua capacità di integrarsi e lavorare all’in-
terno dell’organizzazione. Noi non cerchiamo su-
peruomini”, ha commentato Maúti. “Il talento non
è un modo di essere, qualcosa di cucito dentro, ma
un modo di entrare all’interno dell’organizzazione,
dove deve sapersi relazionare e comunicare. E par-
liamo di comportamento di talento, che possono
averlo tutti e può essere trasferito, e al quale tutti
possono collaborare. E l’ufficio risorse umane oggi
gestisce la cultura - non le persone e nemmeno
le performance - quindi ciò che in azienda lega le
persone e fa sì che emergano fuori i talenti. Non
dimentichiamoci infine del senso dell’umorismo che
è quell’elemento che alla fine permette di reagire
al meglio nel mondo che ci circonda”.
Ruggero Cerizza
, presidente di Inditel, è invece par-
tito dal fatto che se il concetto di talento è molto
correlato a quello di meritocrazia, in realtà non bi-
sogna mettere troppo l’accento sulla dote naturale
innata di ciascuno, rispetto all’impegno e alla dedi-
zione: “Bisogna evitare di creare disparità e provo-
care scoraggiamento negli altri. Inoltre la persona
fondata solo sul talento spesso si rivela una mete-
ora senza disciplina e senso del rispetto. Quando
si parla di inserimento dei talenti, poi, si tende ad
assegnare un riconoscimento a priori e questo non
è un approccio corretto poiché la capacità va in re-
altà verificata a posteriori concedendo quindi un
tempo sufficiente perché il talento esprima le sue
caratteristiche”. Un altro aspetto è che spesso poi
il concetto di talento viene associato alla giovane
età ma questa, secondo Cerizza, non deve essere
un fattore determinante di valutazione. “Ci vuole
maturità sui processi produttivi e sociali e l’espe-
rienza deriva solo dal periodo di tempo trascorso
con gli altri. Il sistema scolastico, infine, non tende
più a individuare correttamente il percorso profes-
sionale più consono per gli studenti, bensì a rila-
sciare una patente di efficacia. Per cui oggi spesso
l’etichetta può essere fuorviante nella valutazione
di un soggetto”.
Questione di equilibrio
Sergio Cantinazzi
, partner di Inlay, ha dal canto suo
spiegato che il termine talento ha un significato non
univoco. In un primo caso per esempio evidenzia
in modo inequivocabile una qualità, una capacità,
un’attitudine specifica. Ma la persona che ha un ta-
lento non è necessariamente lui stesso ‘un talento’.
“Spesso occorre un equilibrio tra le varie componenti
di una persona. Nel primo colloquio coi candidati
bisogna quindi cogliere quei piccoli ‘antitalenti’ che
vengono attentamente tenuti sotto controllo e che
potrebbero emergere successivamente. Occorre in
sostanza che anche gli altri aspetti della personalità
siano all’interno di un range accettabile”. La secon-
da accezione di talento ha spiegato Cantinazzi è
invece quella più classica: “Si tratta di una persona
che spicca sugli altri buoni candidati in relazione
a tutte le caratteristiche professionali e personali
che interessano all’azienda e che possiede queste
caratteristiche in modo armonico, nel giusto equi-
librio tra loro. Insomma il migliore della rosa”.
Tuttavia, ha continuato Cantinazzi, bisogna anche
sottolineare che il modello ideale di talento cambia
da azienda ad azienda: “Una persona che opera nel-
le risorse umane di una grande realtà mi ha citato
per esempio un profilo di esperienza ma giovane
dentro, con generosità delle proprie competenze,
autonomia di pensiero e intelligenza prospettica. Un
profilo interessante ma che potrebbe non andare
bene per tutte le aziende. Pensiamo a quelle filiali
di multinazionali dove l’obiettivo più importante è
‘chiudere bene il quarter’. Sono altre le caratteristi-
che ricercate: a quella persona è richiesta tenacia,
grinta, senso del business, resistenza allo stress e
capacità di compilare report. Meno importante inve-
ce la capacità strategica che viene definita altrove.
Infine c’è il talento con la T maiuscola, molto raro,
che è brillante, simpatico, ha un curriculum vitae
perfetto, emerge in modo palese rispetto agli altri ed
è in grado di adeguare il proprio linguaggio in base
al proprio interlocutore. Per queste ultime persone
c’è spazio nelle aziende di consulenza ma anche in
altre realtà, dove la regola è ‘vinca il migliore’”. Un
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