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marzo 2012
office automation
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teressanti prese da singoli enti che evidenziano un
approccio più convinto e meno tattico.
Roberto Galoppini
. Ho iniziato a usare Linux pro-
fessionalmente nel ‘94. Diciotto anni dopo una realtà,
all’epoca ancora embrionale, come Red Hat sta per
diventare la prima azienda del mondo open source
con un fatturato da un miliardo di dollari, Forbes po-
siziona Acquia, l’azienda che commercializza Drupal,
al 41esimo posto della classifica delle 100 aziende
statunitensi più promettenti, per non parlare di
quello che prima Google e dopo Facebook sono riu-
sciti a realizzare grazie all’utilizzo massivo di tecno-
logie open.
In sintesi, direi che siamo ben oltre le più rosee aspet-
tative, fermo restando che in Italia il mercato dell’of-
ferta è sostanzialmente costituito da micro-imprese e
pochissime hanno voluto e saputo cavalcare l’onda per
creare soluzioni o servizi che potessero essere appeti-
bili per clienti d’oltralpe. L’attitudine italica alla life-
style company è il vero problema.
Marco Pancotti
. Nella mia esperienza l’open source
è diventata una realtà consolidata in alcuni segmenti
di mercato, è considerato una possibile alternativa
in altri segmenti ed è totalmente assente in altri an-
cora. Potremmo definirlo come successo a mac-
chia di leopardo. In generale, tanto più è riuscito a
esprimere prodotti di qualità, come per esempio
GNU/Linux, tanto più ha preso piede, mentre
quando ha messo in giro ‘ciofeche’, e non faccio
nomi, è rimasto al palo.
Cosa ha portato e cosa ha insegnato il modello di
business dell’open source all’industria italiana del
software?
Mariafilomena Genovese
. Che l’antagonismo tra
software proprietario e software open source non ha
più modo di esistere. E questo l’hanno capito sia i
grandi player, che mostrano una maggiore apertura
alla collaborazione verso il mondo open source, sia
i system integrator che tendono a presidiare tecno-
logie di diverso tipo. Lato utenti, esigenze di intero-
perabilità a più livelli portano a privilegiare un ap-
proccio misto, basato su scelte ben ponderate a
seconda degli ambienti tecnologici. Inevitabilmente,
il sistema dell’offerta è portato ad adeguarsi.
Altro insegnamento, rivolto alle realtà focalizzate
sull’open source, è che la sola passione per questo
mondo non basta per sviluppare business di una
certa entità: occorre darsi una struttura. L’open
source genera e può ancor più generare opportunità
per tante piccole e medie imprese del settore ICT ma
a condizione che riescano a darsi un modello, a svi-
luppare un orientamento al business che ancora
manca.
Roberto Galoppini
. Non esiste un modello di bu-
siness open source, esistono però strategie di busi-
ness che si basano sull’uso, la realizzazione o la co-
produzione di software open source. Ricercatori ed
accademici hanno mostrato come l’impresa tenda a
condividere, o più tecnicamente a partecipare a
club tecnologici, laddove il costo di partecipazione
è significativamente inferiore ai benefici derivanti da
questa partecipazione. Non fa mistero che Face-
book non condivida l’intera piattaforma: solo i com-
ponenti che non costituiscono il vantaggio compe-
titivo e che risultano essere di interesse generale
vengano condivisi, di fatto abbattendo o comunque
riducendo i costi di sviluppo e manutenzione.
Direi che l’open source ha insegnato a tutti la stessa
lezione, è poi sempre e comunque l’impresa o l’in-
dividuo a scegliere se e come approfittarne. Non si
tratta, quasi mai, di altruismo, si condivide sempre
e solo dove si ha un beneficio di marketing, ridu-
zione dei costi R&D, ridotto time-to-market, mi-
nori barriere all’ingresso nello sviluppo di solu-
zioni...
Marco Pancotti
. Che esiste un mondo in cui la
competenza tecnica e la condivisione delle cono-
La sola passione
per questo mondo
non basta per sviluppare
business di una certa entità:
occorre darsi una struttura
Mariafilomena
Genovese,
project manager
della società
di ricerca
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