fare meglio. Quindi non necessariamente faremo il nostro in-
sourcing selettivo esclusivamente sulle attività core, ma laddove
i criteri di economicità ci guideranno. Ovviamente ci sono delle at-
tività che sono nostre distintive. Per esempio: stiamo ipotizzando
uno schema di trading che non è comune a ciò che oggi si vede
sul mercato, quindi svilupperemo tutte le competenze IT a sup-
porto all’interno, facendo crescere in sincronia i processi di bu-
siness e gli strumenti informatici di supporto.
Come si aspetta che cambierà il peso tra attività date in out-
sourcing e attività interne?
Nell’ambito delle operation IT oggi il peso dell’outsourcing è circa
del 90%. È il risultato di una decisione presa molti anni fa e che
ha limitato le nostre attività alla pianificazione, al capacity planning
e alla strategia di sviluppo delle infrastrutture.... Non lasciamo to-
talmente libero l’outsourcer di scegliere piattaforme, sistemi ope-
rativi e le altre componenti tecnologiche, ma tutte le attività
realmente operative sono fatte fuori. In prospettiva ci attesteremo
su un 40%-60% tra interni ed esterni.
Per quanto riguarda gli ambiti applicativi (sviluppo e manuten-
zione), oggi il rapporto tra interni ed esterni è 30%-70%, ma con
un nostro ruolo di impostazione e conduzione dei progetti molto
forte. L’insourcing selettivo si applicherà anche in questi ambiti,
ma non cambiando il bilanciamento in modo uniforme, bensì sce-
gliendo accuratamente le aree dove aumentare il nostro coinvol-
gimento diretto.
Si può fare efficienza anche sugli outsourcer?
Non ho mai creduto che l’outsourcing fosse una leva per fare ef-
ficienza… Mi trascino da tempo una fama di forte avversario del-
l’outsourcing, ma è una reputazione sbagliata. Lo testimonia il
fatto che qui in Eni abbiamo molte attività in outsourcing e non
solo nelle operation. Quello che generalmente penso è che l’out-
sourcer paga le persone quanto le paghiamo noi, quindi il diffe-
renziale di partenza della mia inefficienza deve essere molto
grande perché mi venga restituito un beneficio tangibile garan-
tendo la corretta redditività per l’outsourcer. L’atteggiamento che
io caldeggio è: facciamo il meglio che possiamo in casa, tirando
fuori la massima efficienza che siamo in grado di esprimere e
solo poi se qualcuno è in grado di fare meglio di noi è il benve-
nuto. Con questo processo di trasformazione stiamo acquisendo
una nuova mentalità che ci consentirà di spingere sempre di più
sulla velocità del cambiamento, modulandola con le necessità di
business, ma anche provando a esplorare in anticipo e per conto
nostro alternative e opzioni nuove.
Ci fa un esempio di un’attività di esplorazione?
Posso darle un’idea, andando però un po’ fuori dal contesto fin
qui descritto. Un anno fa abbiamo lanciato un progetto per la
creazione di un think tank interno che abbiamo chiamato ‘iTeam’.
Sono una quindicina di persone, caratterizzate da grande viva-
cità e curiosità intellettuale. È un gruppo multidisciplinare, cross-
organizzativo, nato in modo da far confluire esperienze e
competenze molto diversificate, poco sensibile alle logiche di af-
ferenza organizzativa, senza obbligo di delivery, ma solo con
l’obiettivo di costruire una differente attitudine di guardare al fu-
turo e di lavorare insieme.
Il risultato è stato “l’Ufficio del Futuro”. Abbiamo preso uno spa-
zio, lo abbiamo allestito in modo completamente diverso dagli
uffici tradizionali, con lo scopo di stimolare l’esplorazione e l’in-
vestigazione e di creare un pilota.
In realtà non si tratta di un vero ufficio del futuro perché la tec-
nologia è quella di oggi, però è un’esperienza che prova a tra-
guardare modi nuovi, diversi e più avanzati di uso della tecnologia
esistente e che prova a proiettarne una possibile evoluzione da
qui a cinque anni.
Gli elementi fondamentali sono: nuove modalità d’interazione
uomo-macchina, come l’uso del gesture, fortissima pervasività
del mobile e delle soluzioni di collaboration in mobilità, tavoli in-
terattivi multi touch su cui poter agire con simulazioni, realtà au-
mentata e altro. È un laboratorio fatto per passione e quasi
completamente extra orario di lavoro che quando porto le per-
sone a vederlo si entusiasmano. È stato così per i vertici azien-
dali e per i colleghi delle linee di business.
Però la cosa più importante di questa esperienza non è stata
provare in anticipo un modo nuovo di lavorare in un contesto
piuttosto futuribile….
E per cos’altro?
A me interessa il processo di sperimentazione e di sviluppo di
una sorta di intelligenza collettiva a cui siamo arrivati grazie a
questa esperienza.
Perché è nuova, perché scardina certe logiche un po’ ingessate
proprie delle organizzazioni consolidate e molto strutturate delle
grandi aziende con un passato importante.
È davvero un’esperienza multidisciplinare e multiculturale: del-
l’iTeam non fanno parte solo persone dell’IT, ma ha partecipato
anche una giovane architetta di EniServizi
(la società di servizi
generali di Eni, ndr)
che ha lavorato per capire come la tecnolo-
gia influenza l’architettura e, viceversa, come l’architettura può
dare una mano per sfruttare al meglio la tecnologia. È questo
che mi è piaciuto di questa esperienza.
Ci saranno altre esperienze di questo genere?
Andremo avanti con degli schemi più diffusi, ma anche più strut-
turati perché credo che ormai siamo maturi per fare cross dis-
semination e cross fertilitation all’interno dell’organizzazione
attraverso la costituzione di laboratori di sperimentazione. Ri-
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luglio-agosto 2012
IL CIO DEL CAMBIAMENTO FA LE DOMANDE GIUSTE