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Chi è Gianluigi Castelli
Gianluigi Castelli è nato nel 1954 a Milano, dove si è lau-
reato in Fisica a indirizzo cibernetico nel 1978. Dall’Ago-
sto del 2006 è Executive Vice President ICT di Eni S.p.A.
Dal 1978 al 1996 Castelli ha ricoperto diversi incarichi al-
l’interno di Etnoteam, fino a diventare Direttore della Di-
visione di System Integration.
Nel 1996-1997 è stato Cio di Infostrada e dal 1997 al 2001
ha operato all’interno del Gruppo Fiat, prima come Cio
di Fiat Auto e poi come Amministratore Delegato e Di-
rettore Generale della società di servizi software del
Gruppo (GSA).
Dal 2001 al 2006 ha ricoperto diversi ruoli all’interno del
Gruppo Vodafone: da Cio in Vodafone Italia è divenuto
Chief Technology Officer, unificando sotto un’unica re-
sponsabilità tutte le tecnologie IT e di Rete. Infine, fino al
2006, è stato Cio di Gruppo, con responsabilità di go-
verno e integrazione di tutte le funzioni IT delle società
operative del Gruppo.
Gianluigi Castelli è membro della faculty del MIP del Po-
litecnico di Milano e presidente di Cio AICA Forum, il
ramo italiano della European Cio Association.
dice Eni 5 – che è al di fuori delle nostre strutture di data center
in esercizio. Le prove effettuate hanno dimostrato che quanto
avevamo ipotizzato si può realizzare concretamente.
Il passo successivo, abilitato dalla nuova infrastruttura tecnolo-
gica, è stato un passo delicato, ed è ancora in corso, poiché con
la stessa logica siamo andati a rivedere il portafoglio applicativo.
Analogamente a quanto ci siamo chiesti nella fase precedente,
anche in questo caso ci siamo posti una domanda: ha senso
fare un re-platforming di tutte le nostre 545 applicazioni attive?
Immaginiamo che la risposta sia stata negativa...
L’attuale portafoglio applicativo non è il risultato di una progetta-
zione coerente e unitaria, ma deriva dal consolidamento delle ap-
plicazioni di realtà diverse quindi, inevitabilmente, troviamo al suo
interno ridondanze e sovrapposizioni che si possono eliminare.
Certo bisogna fare attenzione al fatto che gli utenti di queste so-
luzioni sono sempre abbastanza riluttanti a cambiare le loro abi-
tudini lavorative. Ma approfittando della discontinuità introdotta
con il nuovo data center, e con la nuova infrastruttura tecnolo-
gica, abbiamo compiuto un’analisi su cosa dobbiamo effettiva-
mente tenere e cosa possiamo abbandonare.
Cosa è emerso dall’analisi delle applicazioni?
L’ultimo aggiornamento dice che ne possiamo dismettere 157,
oltre il 28%, percorrendo due strade. Lo spegnimento totale, per-
ché le stesse funzionalità sono disponibili in altre applicazioni,
oppure far convergere quelle funzionalità ‘originali’ presenti in
software marginali in applicazioni più rilevanti.
Il progetto Kmm – Kill Modify and Mantain – ha già provveduto a
portare oltre venti applicazioni nella nuova infrastruttura in modo
da creare un caso studio e delle linee guida che ci permetteranno
di procedere speditamente nella migrazione di tutte le altre. Il
processo di spegnimento sta procedendo bene: fino a oggi ab-
biamo dismesso circa 70 applicazioni delle 157 da chiudere.
Tornando alla progettazione di un data center che fornisce
potenza di elaborazione come un’entità unica e alloca le ap-
plicazioni in modo dinamico, pensa di aver implementato un
modello di cloud computing privato?
Non credo che sia importante affermare che siamo una delle
prime esperienze di cloud computing in Italia e, forse, anche il
private cloud più grande a oggi. Ciò che conta è che del concetto
di cloud abbiamo preso, con un approccio molto pragmatico,
tutto e solo ciò che ci serve. Il nostro obiettivo è adottare metodi,
strumenti e concetti propri del cloud e capire come si applicano
in una logica di gestione operativa complessa, di riduzione dei
costi, di continuità di servizio, di ottimizzazione delle prestazioni...
Ovvero tutti quei parametri che fanno la qualità di un servizio che
viene erogato agli utenti.
caldo su ogni singolo server che ospita. Anche l’infrastruttura è
stata riprogettata interamente da zero con l’idea che adottando
macchine industry standard potessimo disporre della potenza di
calcolo non più frammentata in tanti server partizionati e dedi-
cati a gruppi di applicazioni, ma come un continuum di proces-
sori, un vettore di molte migliaia di Cpu, su cui poter allocare in
modo dinamico le applicazioni. In questo modo potremo gestire
con flessibilità la potenza di elaborazione rispetto al fabbisogno.
Questo concept è stato provato in laboratorio, ovvero realizzando
un mini data center proprio per testare il progetto – nome in co-
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luglio-agosto 2012
IL CIO DEL CAMBIAMENTO FA LE DOMANDE GIUSTE
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