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tanto’ sia meglio di ‘fare bene’? Il
punto è che potrebbe anche essere
vero, peccato che non si trovi
nessuno che si prende la briga di
misurarlo; chi troverebbe il tempo
di farlo?
L’alternativa sarebbe un po’ di
silenzio, un’attesa più o meno lunga
e – ovviamente, dietro ad essa – il
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Ma chi ce l’ha questo tempo, se
siamo tanto impegnati ad agire,
decidere, rispondere, inoltrare? Ogni
minuto dedicato al fare è tempo
sottratto alla valutazione ex-post,
di ciò che abbiamo già fatto ed –
eventualmente – raggiunto. Poteva
essere fatto meglio? Non è dato
saperlo.
Quando tutto ci corre incontro
e ci lancia in una dimensione da
video gioco, l’abilità è restare in
piedi, come la macchinina da corsa
che macina chilometri e ostacoli.
Bisognerebbe avere il coraggio
di chiedersi ‘che cosa resta fuori?’
Secondo me soltanto lui: il tempo
della valutazione.Tutta l’enfasi è
sulla preparazione, che aiuta a
visualizzare, progettare, prevedere.
Ma solo pochi parlano del dopo:
l’analisi che ci aiuta a capire cosa
abbiamo fatto e perché. Lo spazio
in cui capire se quello che abbiamo
fatto è stato gestito bene o male e
che cosa dovremmo cambiare, la
prossima volta.
Essere consapevoli
Nessuna pretesa di individuare
soluzioni ovvie, ma almeno diamoci
la possibilità di sollevare un dubbio:
lo sappiamo quanto la velocità ci
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confessati, mentre leggiamo e
rispondiamo a ritmo intenso a
questo e quello? Mentre troviamo
soluzioni e spostiamo problemi
e domande? Riteniamo davvero
che sia sempre la strada migliore,
o forse non abbiamo il tempo
di chiedercelo? Probabilmente ci
piacerebbe fare delle valutazioni,
ma non è facile fermare un treno
in corsa. Basterebbe forse essere
consapevoli del piacere della
velocità, per riuscire a fermarsi di
tanto in tanto e trovare il tempo
per fare una valutazione, una
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non preveda di spuntare attività
fatte, tra le tante da fare, ma di
esaminare cosa avremmo potuto
fare diversamente e perché. In
alternativa, accontentiamoci di
quello che facciamo. Rinunciamo
alla valutazione, spingiamo
l’acceleratore sul fare e viviamo
sereni. Perché fermarsi e spendere
il tempo a capire quello che non è
andato bene? Molte volte le cose
si sistemano da sole, si aggiustano;
basta non fermarsi a guardarle. E
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cogliere e richiedere una prospettiva
di lungo periodo: un anno, tre, dieci.
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lamentarci del tempo che fugge
o del carico più ampio di quello
che siamo in grado di reggere;
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di aver sbagliato: basta guardarci
Elisabetta Mauti,
responsabile sviluppo HR
settembre 2014
intorno, osservando il mondo che ci
circonda, per avere la certezza che
è così e non solo per noi. E quindi?
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riprende. La valutazione? Inutile,
visto che non si trova il tempo per
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lamentarci: troviamo il coraggio di
dire quanto siamo felici e soddisfatti,
di questa corsa continua.
Eppure – quando mi fermo –
sento la nostalgia per la segreteria
telefonica, che mi aspettava a casa la
sera, lampeggiando festosa, quando
aveva un messaggio urgente da
consegnare. Oggi tutto mi arriva in
tempo reale: perché aspettare?
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