
La Cie, una storia italiana
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innovazione.PA
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01-02/2018
| ANNO XV GENNAIO - FEBBRAIO
Caro Ruggero
Voglio esprimerti tanta comprensione per il tuo sentimento frustrato di collega - cittadino (e milanese)
digitale che sente nascere la tentazione di dire “si stava meglio prima”. È un sentimento che, nel
profondo, ogni tanto si fa strada in tutti noi che viviamo tutte le contraddizioni e le difficoltà di
introduzione di modelli innovativi nella Pubblica Amministrazione. È una realtà complicata dove al
cambiamento necessario si accompagnano dinamiche legate al suo impatto che non sono mai banali.
Il caso della Carta d’Identità Elettronica è forse il più emblematico. La sua concezione, in Italia,
risale al 1997 con la celebre Legge Bassanini che ne prefigurava l’avvento insieme ai principi di
semplificazione dei rapporti cittadino-pubblica amministrazione.
In realtà con la Carta di identità Elettronica è andata molto diversamente. Il progetto che doveva essere
portato avanti in logica di cooperazione applicativa su base territoriale, è divenuto terreno di scontro e
spreco ideologico, economico, tecnologico lungo tutto il primo decennio del nuovo millennio.
Non è qui il caso di ripercorrere tutta la vicenda che spazia dal conflitto tra le diverse carte dei servizi
previste dalle regioni, alle modalità di realizzazione decentrata del documento attraverso apparecchiature
costosissime. Il risultato, dopo annunci, proroghe, sospensioni e ripartenze, è che da Paese
all’avanguardia ci ritroviamo ad essere uno degli ultimi ad utilizzare ancora il documento di identità
cartaceo con tutti i limiti che esso comporta in chiave di sicurezza e possibilità di contraffazione.
Si perché, effettivamente, questo è un caso in cui l’innovazione non è mirata a restituire maggiore
praticità al cittadino quanto a garantire a lui e allo Stato maggiore sicurezza e più efficienza in fase di
identificazione e controllo. Certo, rimane il fatto difficile da accettare che ‘prima’ bastava andare in
anagrafe e richiedere o rinnovare la carta d’identità, mentre ora occorre chiedere un appuntamento
che viene rilasciato, un po’ dappertutto, con tempi d’attesa di uno - due mesi circa. Dipende dal
fatto che le postazioni abilitate nei Comuni vengono fornite dal Ministero dell’interno e il personale
deve essere formato. Non sempre le dotazioni si rivelano sufficienti. Una volta raccolti, i dati devono
essere trasmessi da ogni postazione all’infrastruttura del Centro Nazionale dei Servizi Demografici.
A questo punto le informazioni, acquisite e certificate vengono inviate presso un unico centro di
produzione del Poligrafico della Zecca dello Stato che produce un documento di notevole complessità.
Al netto delle inefficienze locali-centrali, delle difficoltà organizzative-strumentali, di difficoltà delle
reti, occorre accettare il fatto che la Cie compie un ‘salto di qualità’ come documento identificativo.
Se mi passi il paragone banalizzante, bisognerebbe pensare alle caratteristiche del Passaporto,
per il quale siamo abituati a modalità di emissione, tempi di rilascio e costi differenti. Questo
documento arriva a costare al cittadino 22 euro, composti di costi di produzione, invio (a casa), diritti
amministrativi... Motivato dalla tua lettera sono andato a vedere cosa succede a Roma.
L’attesa è lunga anche qui e si capisce come non esista una bacchetta magica per risolvere il problema.
Dovremo armarci di pazienza e chiederne il rinnovo stimando congrui tempi di richiesta, almeno 180
giorni. Le cose, in prospettiva, dovrebbero migliorare con l’avvio dell’Anagrafe Nazionale della Popolazione
Residente, quando la centralizzazione reale del dato anagrafico sarà più coerente con il modello produttivo
scelto per la Cie. Nel frattempo con questo servizio cerchiamo di spiegare meglio lo stato dell’arte.
A proposito, i codici di cui parli sul finale della tua lettera sono quelli che ti consentiranno di richiedere SPID,
che speriamo possa presto aprirci realmente la strada ad un rapporto più semplice con la PA.
Cordialmente
Gianmarco Nebbiai