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innovazione.PA

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01-02/2018

| ANNO XV GENNAIO - FEBBRAIO

“B

isogna avere fortuna, è un po’ come la

maestra alle scuole elementari, se ti capita

quella brava bene, altrimenti...”

queste

le parole di un dirigente della Pubblica

Amministrazione che ha frequentato

i corsi di aggiornamento della Scuola

Superiore dell’Amministrazione,

denominata dal primo gennaio 2013, Scuola Nazionale

dell’Amministrazione (SNA). Certo, immaginare che la

preparazione di un amministratore della cosa pubblica possa

dipendere dalla buona sorte, può suscitare perplessità grandi

almeno quanto l’ipotesi che sia sempre l’aletorietà del caso a

governare l’apprendimento elementare di un bambino. Ma, come

è organizzato veramente il sistema di formazione dei funzionari

e dirigenti della Pubblica Amministrazione in Italia? L’esigenza

di un sistema di formazione si delinea già nei primi anni di vita

della Repubblica e si sostanzia con l’istituzione della Scuola

Superiore della Pubblica Amministrazione nel 1957. Si aprono

diverse sedi non solo a Roma e a Bologna, ma anche e soprattutto

al Sud, è qui che maggiormente c’è interesse verso il “posto

pubblico”. Così vengono aperte sedi a Acireale, Reggio Calabria

e Caserta, dove si sceglie un luogo prestigioso, la Reggia di Carlo

III di Borbone. Nessuno avrebbe potuto immaginare allora,

scrive il giornalista Sergio Rizzo nel suo libro “la Repubblica

dei Brocchi: il declino della classe dirigente italiana”, l’incuria

nella quale sarebbe naufragato quel luogo negli anni successivi.

Forse il processo formativo della classe dirigente italiana ha

coinciso con quello della sua sede più prestigiosa? Il decreto

legge n.95 del luglio 2012, sancisce la nascita del Sistema Unico

di Reclutamento e Formazione. Infatti nei decenni precedenti,

nacquero molteplici scuole di formazione del pubblico impiego:

la Scuola Superiore di Economia e Finanza (SSEF), la scuola

del Ministero degli Esteri, del Ministero dell’Interno (SSIA),

il Centro di Formazione della Difesa, la Scuola di statistica e

di analisi sociali ed economiche, l’Istituto Diplomatico e non

solo. Viene istituito un Comitato di Coordinamento delle scuole

in modo che si possano pianificare efficientemente le attività.

Questo è il primo passo verso la soppressione delle singole scuole

e la loro unificazione sotto la Scuola Nazionale della Pubblica

Amministrazione che avviene con l’articolo 21 della legge n.114

del 2014. Lo stesso articolo prevede che i docenti ordinari

e i ricercatori dei ruoli a esaurimento della SSEF vengano

trasferiti alla SNA e il loro stipendio venga equiparato a quello

dei professori e dei ricercatori universitari di pari anzianità. Si

occuperà di questo il Decreto del Presidente del Consiglio dei

Ministri del 25 novembre 2015, n.202. Qui cominciano i primi

problemi per la riforma della SNA. I redditi degli ex docenti

SSEF, infatti sono compresi tra 116 mila euro e 301 mila euro

l’anno, ben al di sopra della media delle somme attese dal

governo e quindi partono i primi ricorsi al TAR del Lazio dei

professori che vedono il loro stipendio decurtato. Il bilancio 2018

della SNA conserva “prudentemente” una posta di un milione

e seicentomila euro per “spese per docenti ex SSEF”, infatti i

professori hanno vinto per ora e si attende il parere del Consiglio

di Stato. Il persorso di riforma del sistema di formazione ha

incontrato un altro ostacolo, almeno per il momento, un

vero e proprio semaforo rosso. Si tratta della dichiarazione di

incostituzionalità di alcuni punti della nota “Legge Madia”

(legge n.124/2015) relativa ai decreti attuativi su dirigenza

pubblica e servizi pubblici locali. L’art.11 tratta la revisione

dell’ordinamento, della missione e dell’assetto organizzativo

della Scuola Nazionale dell’Amministrazione con “eventuale

trasformazione della natura giuridica, con il coinvolgimento

di istituzioni nazionali ed internazionali di riconosciuto

prestigio, in coerenza con la disciplina dell’inquadramento e

del reclutamento, in modo da assicurare l’omogeneità della

qualità e dei contenuti formativi dei dirigenti dei diversi ruoli”.

Per portare a termine questa missione il governo Renzi, nel

marzo del 2016, nomina un commissario, il

prof.

Bruno Dente

già incaricato nel 1998 dal ministro della Funzione Pubblica,

Franco Bassanini, di studiare i meccanismi di perfomance della

pubblica amministrazione. “Il mio compito da Commissario”,

dice il professore di Analisi delle Politiche Pubbliche presso il

Politecnico di Milano (oggi in pensione), era quello di attuare

la riforma della scuola contenuta nella legge Madia, ossia la sua

trasformazione in agenzia e la sua uscita dalla struttura della

Presidenza del Consiglio. Questo era il dettato di un articolo

del decreto legislativo sulla riforma della dirigenza prima

approvato dal Consiglio dei Ministri, ma mai pubblicato in

Gazzetta Ufficiale perché la Corte Costituzionale ha dichiarato

l’incotituzionalità della legge delega. La riforma della dirigenza

quindi non c’è mai stata. La sentenza della Corte è stata un

po’ curiosa. Infatti, che il decreto legislativo sulla dirigenza,

in particolare per la parte relativa al ruolo dei dipendenti delle

Regioni, fosse a rischio di incostituzionalità, allora lo sapevamo

tutti, credo. Anche i giuristi pentiti, come me. La Corte ha

dichiarato che non si poteva fare il decreto legislativo senza

l’intesa con le Regioni, ma questo con la SNA non c’ entrava

niente. Eppure con la legge delega sono state bloccate anche la

riforma della scuola e il piano di riorganizzazione di cui mi sarei

dovuto occupare. La mia nomina non si giustificava più, così

a Febbraio del 2017 è stato nominato il nuovo presidente della

SNA, il professor Stefano Battini.”

Le motivazioni legate all’accorpamento delle scuole racchiudono

anche un elemento di contenimento dei costi. Si procede

infatti anche alla chiusura delle sedi periferiche della SNA,

fatta eccezione per quella di Caserta. Prosegue il prof. Dente:

“la mia nomina a Commissario prevedeva anche il risparmio

che era stato inserito nella Legge Finanziaria. Ho ridotto il

numero dei docenti stabili, anzi per la verità non ne ho rinnovato

quesi nessuno. Il sistema di formazione costava enormemente,

secondo i miei calcoli, un’ora di lezione costava intorno ai 2000

euro. Da questo punto di vista il problema che aveva la scuola

non era certo la mancanza di soldi e in effetti non riusciva

neanche a impegnarli tutti, ma dove e come li spendeva.” Dal

bilancio previsionale del 2018 effettivamente risulta che le

entrate della SNA ammontano a circa 14 milioni di euro cui

vanno aggiunti circa 12 milioni di euro di avanzo di esercizio

dell’anno 2017. Alla “formazione e reclutamento”, ossia al suo

core business, sono destinati circa 15 milioni di euro, di cui il

40% circa, è destinato agli stipendi dei docenti. Le spese che la

scuola sostiene per il personale però, sono ben più alte. A queste

somme è infatti necessario aggiungere il costo del personale non

docente che fa parte della Presidenza del Consiglio dei Ministri.