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In Primo Piano

Smart working

: Italia fanalino

di coda dell’Unione Europea

Sono ancora poche le società italiane che scelgono il ‘lavoro agile’.

Il cambiamento spaventa e risulta difficile adeguarsi alle evoluzioni del mondo lavoro

di Giulia Arando

Lo smart working, protagonista negli ultimi anni,

ha sancito l’inizio di una rivoluzione culturale con

l’introduzione di un’organizzazione lavorativa più

vicina alle esigenze dei dipendenti riguardo al luogo,

orario e strumenti utilizzati per svolgere le proprie

mansioni. Tuttavia, nonostante l’avvento della legge

n. 2233 che ne disciplina la materia, sono poco più

di 250mila i lavoratori ‘agili’ in Italia. A testimo-

niarlo lo studio condotto da Eurofound e l’Orga-

nizzazione Mondiale del Lavoro, dal quale emerge

i Paesi dell’Unione nei quali lo smart working è più

di uso sono Danimarca (intorno al 37%), Svezia,

Paesi Bassi, Regno Unito, Lussemburgo e Francia.

A seguire Grecia, Repubblica Ceca, Polonia, Slo-

vacchia, Ungheria, Portogallo, Germania e in ne

l’Italia (con solo il 7%). E questo vuol dire che c’è

ancora molta strada da fare, a nché le aziende ita-

liane siano pronte al cambiamento.

“Il cambiamento spaventa ed è sempre di cile

adeguarsi alle evoluzioni del mondo lavoro, so-

prattutto quando si tratta di aziende che hanno

un background consolidato nel tempo” spiega

Carlo De Angelis

, architetto e founder di DEC,

azienda specializzata nella progettazione, alle-

stimento di interni orientati allo smart working.

“Lavoro agile non vuol dire semplicemente lavo-

rare da casa o da remoto, ma si tratta di un modo

di concepire l’organizzazione del lavoro attraverso

una combinazione di essibilità, autonomia e si-

nergia tra collaboratori e top manager.

Dagli ultimi dati, rilasciati dall’Osservatorio sullo

smart working del Politecnico di Milano, emerge

che in Italia solo una grande azienda su 3, ben il

30%, si è convertita al lavoro agile, conseguendo

risultati positivi non solo per il portafoglio azien-

dale, ma anche per i lavoratori stessi. Restano in-

dietro le PMI, di cui solo il 5% ha timidamente

aderito a questo nuovo modo di fare lavoro.

“Per la maggior parte le PMI sono a conduzione

familiare, ancorate a una visione più tradizionale

del lavoro e del rapporto titolare-dipendente-orari

di lavoro – puntualizza De Angelis –. Punto car-

dine dello smart working è la possibilità di svol-

gere la propria attività senza tempi e luoghi pre-

ordinati perché ogni l’organizzazione del lavoro è

funzionale all’e cienza del sistema. Ma quello che

spaventa è mettere alla prova i propri dipendenti

dando loro più responsabilità”.

Chi non si adegua resta indietro

Come diceva Steve Jobs “è la capacità di innovare

che distingue un leader da un epigono”, ma paralle-

lamente è necessario anche un ecosistema in grado

di sostenere le aziende impegnate nel cambiamento.

“Credo che l’Italia abbia bisogno di rimuovere al-

cune barriere culturali – sottolinea De Angelis – .

Nel nostro Paese oltre 3 milioni di persone sono

disoccupate proprio perché, da troppi anni, il mer-

cato del lavoro è paralizzato dall’assenza di politiche

industriali, volte a sostenere il tessuto imprendito-

riale italiano. Con l’avvento della legge sul lavoro

agile possiamo nalmente dire che qualcosa si sta

muovendo, anche a livello istituzionale, e le aziende

sono chiamate ad essere parte attiva di questa ‘ri-

voluzione’ per entrare a far parte dell’industria 4.0.

Un’altra di coltà nell’adeguarsi al cambiamento è

dovuta a una forma mentis basata sulla visione tra-

dizionale dell’azienda dove, a rappresentare il top,

sono lo sfarzo e il lusso degli arredi. Il futuro, in

realtà è già presente, viaggia nella direzione dell’e-

co-compatibilità, della durabilità e dell’economi-

cità dei prodotti per u cio, a discapito del lusso.

Lungo questo modello si collocano le potenzialità

del

coworking

, una delle massime espressioni dello

smart working, che comporta la condivisione di

un ambiente di lavoro all’interno di una struttu-

ra attrezzata ed organizzata, da parte di più sog-

getti che mantengono un’attività indipendente.

Quindi, partendo da una condivisione degli spa-

zi lavoro, con conseguente bene t al portafoglio

aziendale, spesso si evolve in una condivisione di

know-how

verso forme di lavoro più

smart

.

L’importanza dell’ambiente di lavoro

L’imprenditore “smart” è camaleontico: ha tanti

progetti e deve avere la possibilità di realizzarli. Per

farlo, ha bisogno di un ambiente che gli garantisca

il massimo della dinamicità e che sia espressione

della sua vision. Quindi arredi essibili, spazi in-

terattivi, nei quali la tecnologia assume un’impor-

tanza sempre maggiore.

“Gli ambienti devo essere specchio dei valori azien-

dali con il ne di tradurli in design, per ra orzare

l’immagine dell’azienda – conclude De Angelis –.

Tuttavia, spesso si usano computer obsoleti che

rallentano il lavoro, reti wi- non e cienti, luci

basse o bianche da “ospedale”, sedie rotte o sco-

mode, nessuno spazio ricreativo e accogliente per

la pausa ca è. Sembrano banalità ma questi disa-

gi, vissuti quotidianamente per 8 ore al giorno,

di sicuro vanno ad impattare negativamente sul

rendimento di ogni lavoratore, anche del più dili-

gente. Alla base di ogni azienda di successo ci sono

dipendenti soddisfatti”. E gli esempi di successo

non mancano, Vodafone ha iniziato l’avventura del

lavoro agile già dal 2014 e oggi conta circa 3.500

persone che possono scegliere se lavorare da remoto

o da u cio, una volta a settimana. Si possono citare

anche Enel con 7mila dipendenti smart, Ferrovie

dello Stato, Ferrero, Unicredit, Sisal, Philips e mol-

te altre. Anche la pubblica amministrazione si sta

lentamente adeguando a questo nuovo modello or-

ganizzativo. Investire sullo smart working signi ca

dunque investire nello spazio u cio, credendo for-

temente nei vantaggi che tale investimento porterà

nel medio e lungo termine.

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Officelayout 170

luglio-settembre 2017