Office Automation febbraio 2012 - page 7

LO SPREAD DELL’INNOVAZIONE ICT
TRA ITALIA E GERMANIA
Lunedì mattina, metrò di Milano. Nel tragitto che mi porta al lavoro capita di ascoltare
le conversazioni tra amici e colleghi che abitualmente si incontrano nella stessa carrozza.
Due signori parlano della crisi della Grecia, un po’ più in là una signora invece racconta
all’amica di come il costo della solita spesa settimanale del sabato le abbia dato
una brutta sorpresa.
Ma come, il lunedì mattina non si parla solitamente del campionato di calcio?
Poi sabato c’è stata pure la finale di Sanremo… Il Paese reale, direbbe qualcuno,
oggi preferisce interrogarsi sul futuro e ha poca voglia di distrazioni.
E allora facciamoci anche noi qualche domanda.
Il confronto quotidiano che viviamo con lo spread dei bund tedeschi piano piano fa emergere
alcuni paradossi rimasti finora in penombra. Quello che più mi ha colpito è il fatto che oggi,
di fronte a una perdurante crisi economica, il Paese che sta dimostrando di poter reggere di più
sia proprio la Germania. Ovvero un Paese nel cui tessuto economico il peso delle mitiche PMI
è sicuramente inferiore a quello dell’Italia. Non solo, in Germania c’è il costo del lavoro più alto
in Europa, una differenza che balza agli occhi subito, soprattutto quando si confronta questo dato
con quello italiano.
È un paradosso, sicuramente, anche perché non staremo di certo meglio se avessimo più grandi
aziende, anziché PMI, e lo stesso costo del lavoro dei tedeschi. Certo è che però il paradosso
comunque esiste, alla luce soprattutto dei ‘sacri’ dogmi del passato: le PMI non dovrebbero
assicurare più flessibilità e quindi anche una maggiore velocità nella reazione alle crisi
economiche? Il basso costo del lavoro non assicura più competitività?
La crisi di oggi ci dice che flessibilità e competitività da sole non bastano e che, insieme a queste,
ci vuole molto di più. Un di più che include molte cose e ripercorrerle tutte, soprattutto continuando
a confrontarci con la Germania, sarebbe piuttosto impietoso. Meglio focalizzarsi sull’aspetto che
a noi persone dell’ICT sta più a cuore: l’innovazione in generale, ma soprattutto quella digitale.
Nel solo 2011 nel territorio di Berlino sono nate più di 80 startup ICT che hanno raccolto
complessivamente 136 milioni di euro da diversi venture capitalist. I quartieri orientali vengono
chiamati Silicon Allee, il wi-fi libero è una realtà molto diffusa e gli spazi organizzati per il
co-working spuntano come funghi… Un territorio attento alla tecnologia, e non solo a quella,
attrae investimenti che si innestano sull’eccellenze universitarie attive. Mantiene i cervelli cresciuti
in queste accademie legati alle opportunità che si sviluppano localmente e i giovani, per vivere
indipendenti dalla famiglia, non devono svenarsi pagando affitti stratosferici. Qualche differenza
con Milano, Torino, Roma, Bari? Certo, anche nelle nostre città tutti gli anni nascono startup ICT,
ma i volumi sono un po’ diversi.
Così nel tempo è stato diverso l’investimento che l’Italia e la Germania hanno dedicato all’ICT
in generale. Nel 2008 la spesa procapite in tecnologie dell’informazione fatte complessivamente
dallo Stato, dalle imprese e dalle famiglie italiane ammontava a 345 euro a testa, 879 in
Germania. Nel 2009, primo anno di crisi, siamo scesi a 315 contro 880. Nel 2010, 305
contro 862 (fonte dati Rapporto Assinform/NetConsulting degli anni di riferimento)… Il raffronto
del 2011 non è ancora pronto, ma certo la musica non sarà cambiata.
Forse la spiegazione del paradosso tra Germania e Italia sta proprio qui… E lo spread
che dobbiamo tutti impegnarci ad abbassare è proprio quello dell’investimento ICT.
Ruggero Vota
febbraio 2012
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